
Il cuore del problema, spiega Sbordone, è che dopo un’estrazione dentaria, anche se effettuata con la massima attenzione per evitare fratture traumatiche del margine osseo, l’osso “alveolare” tende naturalmente a rimodellarsi, cioè a riassorbirsi, perché non più sottoposto alle stimolazioni derivanti dalla presenza del dente. Il riassorbimento provoca quindi una riduzione del volume osseo che potrebbe non rendere possibile l’inserimento di un impianto.
“La letteratura mostra che, anche nelle migliori condizioni iniziali e cioè in assenza di malattia parodontale pregressa, sei mesi dopo una estrazione dentaria vengono persi circa i due terzi dell’originario volume dell’osso che ospitava il dente”, spiega l’esperto. Per contrastare questa perdita di volume osseo contestualmente alla estrazione si può inserire nell’alveolo che ospitava il dente osso bovino “deproteinizzato”, materiale altamente biocompatibile. Anche altri biomateriali sono disponibili per l’uso clinico ma l’osso bovino deproteinizzato è quello maggiormente studiato in ricerca clinica.
Nei due studi citati, spiega Sbordone, “abbiamo controllato, in un campione di pazienti, l’evoluzione del riassorbimento dell’osso alveolare a sei mesi dall’estrazione, in presenza o in assenza di tecniche di conservazione dell’osso stesso”. Nel primo studio “abbiamo usato tecniche radiologiche – precisa l’esperto – mentre nello studio più recente una tecnica che prevede l’uso di scanner ottici e l’acquisizione di immagini elettroniche che hanno evitato al paziente l’esposizione a radiazioni”.
I risultati a sei mesi hanno dimostrato, nello studio del 2016, che l’utilizzo dell’osso bovino inserito nell’alveolo post-estrattivo si associa in media a un riassorbimento osseo del 9,9% nel campione, contro un riassorbimento più importante del 34,8% per i siti in cui dopo l’estrazione non viene inserito alcun biomateriale. I risultati sono stati confermati nel 2017. L’osso di derivazione bovina sembra quindi in grado di contrastare efficacemente il riassorbimento osseo post estrattivo, conclude Sbordone, con parecchi vantaggi per il paziente.
